Psicologi volontari al tempo del covid 19

Il disastro provocato dalla pandemia viene conteggiato in termini quasi puramente numerici e finanziari. L’abbassamento del pil, il fatturato delle aziende, il numero dei decessi e dei nuovi contagi: una logica matematica insensata, che appare quanto mai sganciata dal vissuto di sgomento emotivo che si è diffuso nel paese dalla comparsa del virus.

Questa modalità mediatica utilizzata dalle istituzioni e dai media sembra drammaticamente indifferente alla sofferenza delle persone, quelle in carne e ossa, mica numeri.

C’è una gran voglia di dimenticare e di passare oltre, tornando sui fondamentali dell’epoca pre-covid.

Come psicologo, tra i tanti che in questo periodo si sono occupati, nel silenzio, di cercare di portare un poco di sollievo a quelle persone che hanno sofferto lutti o sono entrati in contatto con l’angoscia della morte per sè e per i propri cari, sento un disagio forte.

E anche una certa irritazione, ammetto.

L’associazione di cui faccio parte, Emdr Italia, ha costruito, nel giro di qualche settimana dallo scoppio dell’epidemia, una rete di quasi 200 gruppi di colleghi volontari in tutta Italia, coordinati e supervisionati da un team di esperti, con alle spalle una ventina d’anni di interventi in contesti di emergenza.

Parlo di un’associazione che ha nel suo dna proprio l’intervento sul trauma, quindi professionisti competenti nel contesto appropriato.

Sto parlando di competenze scarsissime sul territorio, sono pochi gli esperti di emergenza e sono ancora meno quelli esperti di emergenza in ambito psicologico.

Molti di noi lo sono diventati in questo contesto, lo hanno dovuto fare per poter essere utili e offrire attività a distanza per sostenere le persone in difficoltà. Parlo di migliaia di telefonate e colloqui on-line, questo solo in provincia di Bergamo.

Molte altre associazioni di psicoterapia hanno attivato iniziative simili.

Parliamo di migliaia di psicologi che hanno offerto, per puro spirito umanitario, le loro competenze alla comunità.

Leggo che, in questi giorni, anche il ministero della salute offre la possibilità di un numero verde che fornisce nominativi di migliaia di colleghi che offrono un supporto psicologico gratuitamente.

Ora vediamo perchè il disagio e l’irritazione.

La psicologia, nelle istituzioni, ha storicamente giocato il ruolo della cenerentola, schiacciata com’era tra la necessità di ritagliarsi uno spazio tra le ben più accreditate discipline mediche affini e il disagio di vivere un’identità mai ben definita, un’ibrido tra la matrice umanistica e quella scientifica.

Una delle conseguenze è stata che la presenza di psicologi nella sanità pubblica di un paese come il nostro, definiamolo di economia e cultura avanzata, è scarsa e spesso poco efficace, non fosse altro perchè deve coprire numeri di popolazione vastissimi, quindi può agire solo sull’acuzie e la cronicità.

Una delle conseguenze più evidenti è che, chi sta male e se lo può permettere, accede al privato, chi sta male e non se lo può permettere, o continua a star male, o (molti) si impasticca, o si mette in lista d’attesa in qualche servizio per poter fare 10-15 colloqui, se va bene.

Il paradosso di questa situazione grottesca è che le facoltà di psicologia sono piene.. e sfornano centinaia di laureati all’anno. Nonostante non ci sia lavoro, allo stato attuale, per loro! E’ una follia.

Possibile che il tema della salute mentale, della prevenzione, della cura non stigmatizzante del dolore psichico, non riesca mai ad entrare seriamente nell’agenda politica?

Possibile che parlare della costruzione di un progetto nazionale per la prevenzione e la cura del disagio psicologico sia considerato ancora secondario, al giorno d’oggi?

Possibile non sia possibile agire politicamente per sganciare l’intervento psicologico sulla crisi o sul disagio non acuto dalla schiavitù dai dipartimenti di psichiatria, i quali, non dimentichiamolo, con buona pace degli estimatori di Basaglia, sono ancora prevalentemente dei luoghi dove la contenzione è usuale.

Qualcuno vuole dare una risposta?

In attesa della quale, confidando che arriverà, vi invito a levarvi il cappello di fronte a tutti quegli psicologi che, molto discretamente, hanno aiutato e stanno aiutando tantissime persone a soppravvivere emotivamente al proprio dramma.

In definitiva è un vero atto politico, quello che la comunità degli psicologi sta facendo per la comunità allargata, se lo intendiamo nella sua accezione più nobile: la cura della polis!

Pubblicato da

Dottor Ghezzi Marco

Psicologo psicoterapeuta Studio a Bergamo. Maggiori informazioni curricolari sul sito www.marcoghezzi.org

3 pensieri su “Psicologi volontari al tempo del covid 19”

  1. Caro Marco, hai ragione, ma -se me lo consenti- a cosa serve avere ragione, in Italia?
    Solo a farsi sangue amaro, quindi, …è forse meglio avere torto!
    Se vi fosse una spiegazione razionale (vogliamo, da esseri raziocinanti, intestardirci nel sondarla?), ti potrei dire che “primum vivere, deinde cogitare”: in altre parole, solo con la vita conservata e la pancia -ed il portafoglio- se non proprio pieni perlomeno non del tutto vuoti si può “passare” ad occuparsi -anzi, scusa, ora è up to date usare la locuzione “aver cura”- del profilo psicologico. Umano, troppo umano.
    E’ forse sin troppo semplice riscoprire un’altra immagine, quella dei “danni collaterali”, ma mi avvedo che la ricerca di un motivo per tutto, anche per quella da te definita “follia”, è peregrino: qui ed ora, anzi ancor più qui in Italia che ora ovunque, tutto avviene perché avviene, senza che nessuno si curi di limitare i danni.
    Per mie conoscenze personali, gli psicologi -non tutti: ogni generalizzazione è un errore- meritano un grande rispetto, come tutte le persone che rinunciano a parte di sè e della loro vita per dedicarla ad altri, i meno fortunati.
    Il guaio è rappresentato dal fatto che i compiti collettivi (tra cui, certo, l’assistenza sanitaria, nel suo più ampio possibile spettro) sono rimessi alla buona volontà ed alla competenza dei singoli: sventurato il Paese che ha bisogno di eroi, diceva chi ben ha conosciuto il “mos italicum”.
    Consolati (anzi: consoliamoci), però: la “follia” è il Campo di Agramante in cui professioni come la tua, fors’anche la mia, sono soliti rinvenire i solchi tracciati dai più. Con un sorriso.
    Paolo

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    1. Ciao Paolo, passo spesso per idealista e ne sono fiero. Di quanta immaginazione ci sia bisogno nella vita mi è chiaro osservando la quantità di persone infelici che ci sono in giro. E non dipende per niente dalla disponibilità di denaro o dal potere. È proprio altro. È sempre piacevole leggere i tuoi commenti. Un abbraccio

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  2. Caro Marco,
    mi stupisco del tuo stupore…
    Scherzi a parte: un sistema di sviluppo che ha ingozzato i suoi sudditi di cibo tossico quali i concetti di “performance”, “risultati”, “competizione”, ” benessere materiale a qualsiasi costo”, “ostentazione”, pensi per davvero che sia disposto a riconoscere alla vostra categoria un ruolo diverso da uno che non sia meramente di contenzione e repressione?
    Oppure di efficientamento della forza lavoro al servizio di logiche di sfruttamento delle persone sempre più brutali?
    Oggi, poi, chi parla di morte, dolore, sofferenza è stigmatizzato ed isolato.
    Il sistema non permette di confrontarsi con questi temi e li relega all’ambito religioso, facendo passare per fanatici chi li affronta.
    O, appunto, deve andare dallo psicologo per affrontarli.
    Questa la mentalità corrente e dominante.
    Avanti con le “movide” e gli “apericena” tutta la vita.
    Tutto ciò ha reso ancora più evidente la fragilità di queste generazioni.
    Non siamo capaci di stare in casa due mesi, di rinunciare.
    Dobbiamo avere sempre tutto a disposizione, non è contemplato che non vi siano soluzioni.
    I nostri nonni e genitori hanno fatto una o due guerre, di anni.
    C’è chi è sopravvissuto ad Auschwitz.
    Eppoi basta con la retorica della comunità e della “polis”.
    Esiste solo la folla, la massa: e la folla sceglie sempre Barabba mai Gesù.
    Quindi è molto meglio coltivare le relazioni con il singolo senza illudersi della presenza di una fantomatica “comunità”.
    “Homo homini virus”, purtroppo.
    In più, a mio modesto avviso, soffrite la concorrenza sleale di tanti ciarlatani improvvisati che sfruttano le ansie profonde di tanti, soprattutto in questo periodo.
    Hanno buon gioco perchè utilizzano la leva economica e la costruzione di un contesto in cui colui che non vuole riconoscersi paziente, si illude di esser considerato come persona.
    Invece è un bancomat.
    Complimenti comunque per l’umanesimo che sempre ti contraddistingue. Un caro saluto. Filippo

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